Leggendo i tweet di alcuni marchi ti domandi spesso perché certe aziende si forzino ad essere presenti su Twitter. Finora il richiamo delle sirene è stato irresistibile, ma che tipo di benefici reali hanno portato a casa i brand dal loro sbarco sui social media? Bramose come sono di convertire la loro pessima comunicazione in denaro sonante si affidano meccanicamente ai precetti dettati da una letteratura parziale, incompleta per definizione a causa di una materia in continuo divenire, ancora alla ricerca di un framework che racchiuda metodologie dal sicuro successo, metriche efficaci, ecc.
Cifre a nove zeri celebrano la potenza dei social media, i media mainstream diffondono la novella off-line, infografiche psichedeliche seducono i più conservatori, le poche grandi storie di trionfo vengono mentalmente incorniciate e assurte a obbiettivo finale di business di ogni tipo. Il risultato però è che, nella gran parte dei casi, la presenza sui social media si traduce in una forma di pubblicità a supporto di quella più tradizionale, niente di più e niente di meno. Ma solo chi ha realmente compreso essenza e profondità del cambiamento (pochi) ha gustato i frutti saporiti della new-era nella comunicazione digitale.
Ho creato sul mio account twitter una lista di 140 brand internazionali, andate pure a dare un’occhiata: leggerete autentiche scemenze, almeno dal punto di vista della comunicazione in 140 caratteri. Come è possibile che brand famosi annoverino meno follower di tanti utenti anonimi? Non sono certo uno che crede nelle spiegazioni monocausali ma avanzo un’ipotesi: si chiama qualità dell’esperienza fornita ed è legata ovviamente ai contenuti dei messaggi. Cosa volete che me ne importi se Scavolini mi augura Buona Pasqua o se Euronics Italia mi rimanda su Pinterest dove visualizzo un’immagine con la scritta It’s Friday! Perdonate l’irriverenza, ma per un brand la comunicazione sui social media deve essere soprattutto altro: essa acquisisce valore se percepita come servizio, perché capace di creare percezioni intorno al marchio, perché in grado di coinvolgere con determinate finalità. Aggiungo, se i Social Media si chiamano così un motivo ci sarà, no? Invece non vedo interazione o ne vedo molto poca. Molti brand soffrono della sindrome da Vip e puntano ad essere seguiti piuttosto che a seguire. Il rapporto tra following e follower è sempre più spesso sbilanciato verso il secondo: capiamo una volta per tutte che non è sempre un bene. Le aziende parlano troppo e ascoltano poco contravvenendo alla prima regola del social media marketing. Continuiamo ad assistere a monologhi noiosi e banali piuttosto che a dialoghi costruttivi e coinvolgenti per la comunità. Molti brand si troveranno a gestire sempre meno la loro comunicazione on line e sempre più la loro frustrazione da mancanza di risultati.
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